La tragedia non cessa di rinviare al personaggio di Tzamarenda che si presenta, a chi lo vuole ascoltare, come un “guerriero Shuar” dell’alta montagna che vive di pesca, di caccia e di raccolta impegnandosi a guarire il mondo dai suoi mali e dalle sue pene.
Stabilitosi nel cantone di Palora, in provincia di Morona Santiago,dice di continuare la missione dei suoi antenati.
Quarantenne, l’uomo è evidentemente molto abile, indossando secondo le circostanze la sua pelle di leopardo o la sua tenuta civile. Buon parlatore, intelligente, seduttore, “la voce dura come la corteccia degli alberi” sa imporsi ai suoi visitatori o interlocutori, dare loro ciò che ricercano, l’esotismo, lo spaesamento, le pratiche e le conoscenze ancestrali... Soddisfacendo il Bianco, sa ottenere più facilmente la sua riconoscenza.
Le incoerenze tra i bei discorsi di Tzamarenda e le azioni che si dice lui abbia compiuto sono state denunciate dagli equdoriani, ma anche dai francesi che, toccati dalle condizioni di vita del popolo Shuar, hanno fatto delle donazioni, creato un sistema di adozione per gli studenti, finanziato l’acquisto di un pannello solare e di una pompa d’acqua, prima di scoprire gli abusi della fiducia del loro sollecitatore e di accorgersi che il denaro invito era stato utilizzato a fini personali.
Tzamarenda si è più volte recato all’estero, anche in Europa, dove ha saputo farsi portavoce come rappresentante della nazione Shuar. Così, nel novembre 2004, invitato dal Ministro ecuadoriano del turismo, speranzoso di accrescere il numero dei viaggiatori britannici verso il suo paese, si è recato a Londra nell’occasione della fiera turistica del World Travel Market, per celebrare nel centro finanziario una cerimonia per espellere dal Regno Unito gli “spiriti maligni” “che si manifestano nei problemi politici, nello stress dovuto al lavoro eccessivo e negli incidenti sanitari dovuti al consumo di alimenti contaminati chimicamente”. Utilizzando “l’energia cosmica del popolo shuar”, Tzamarenda voleva che gli inglesi cominciassero a scrivere simbolicamente su un foglio bianco, non intaccato dal sistema che mantiene tutti gli occidentali prigionieri”.
Nel giugno del 2006, con l’occasione della partecipazione dell’Equador al Mondiale in Germania, Maria Isabel Salvador, ministro del Turismo, si augurò di promuovere non solamente il calcio, ma anche i suoi prodotti, la sua cultura e il suo interesse turistico. Secondo lei, lo sciamano Tzamarenda, faceva parte della delegazione perché il mondo attuale era alla ricerca della spiritualità, l’idea era che egli portasse “un messaggio di pace e di spirito positivo al Mondiale”. Ed è così che Tzamarenda, molto volentieri, acquisì un surplus di notorietà e “purificò”, in pelle di leopardo, gli stadi tedeschi. Ma sorpreso a sotterrare una piuma sotto il manto erboso dello stadio olimpico di Berlino, e accusato di aver gettato un sortilegio alla squadra tedesca, negò. “Lo sciamano ha voluto apportare l’energia positiva allo stadio del Mondiale” si sforzò di spiegare, imbarazzato, un responsabile dell’ufficio del turismo ecuadoriano. Calcolo sbagliato sotto diversi punti di vista: con il 3 a 0, la Germania vinse sull’Equador nel primo incontro del gruppo A.
Secondo i suoi detrattori che non sono del suo mondo e non hanno tropo riguardo, Tzamarenda non sarebbe per nulla uno sciamano. Ma bisogna constatare che va in questo modo con diversi indigeni amerindi che, con questa denominazione mediaticamente importante, sfruttano la credulità degli occidentali (soprattutto europei e nord americani) facendo leva sul loro senso di colpa e pentimento nei confronti degli “indiani”, sulla loro difesa rousseauiana della natura (il mito del buon selvaggio) e sul bisogno di avventura o di spaesamento nelle contrade “selvagge”, oppure semplicemente sulla richiesta di sensazioni nuove, consumando potenti droghe dette “visionarie” come se fossero iniziazioni (“bevande sacre”).
5. Uno sporco affare può nasconderne un altro
Gli investigatori suppongono che dietro l’omicidio dei due italiani si nasconda un traffico d’organi. In effetti, tredici cadaveri sono stati ritrovati sul luogo in cui la polizia ecuadoriana ha trovato i resti del giovane di Scorzè e del suo amico milanese.
Ora, il 13 luglio 2006, all’epoca della scomparsa di Denis e di Emiliano, Gilberto Yankuam, vice presidente del Confederazione delle Nazioni Indigene dell’Amazzonia, scomparve mentre era andato a pescare nel settore di Union Base, a cinque chilometri da Puyo, in compagnia di Jorge Mayancha e di Bosco Chumbia, amico e guardia del corpo. A causa dell’aumento delle acque dovuto alle forti pogge di quel periodo, avevano deciso di sospendere la loro battuta di pesca. Ma nel momento in cui erano sul punto di raggiungere la riva, Yankuan è caduto e portato via dalla corrente. Le ricerche attivate nei giorni seguenti dalle squadre di soccorso non diedero alcun esito. Allo stesso tempo Antonio Moncayo fu stupito che, chiamando ripetutamente il cellulare di Gilberto Yankuam, suo fratello, l’apparecchio suonasse. Ne dedusse che questa cosa non fosse normale: “il telefono non può emettere segnali sott’acqua , e in ogni caso dovrebbe essere scarico”. Nell’ottobre 2006, il cellulare suonava ancora, ma nessuno rispondeva. I suoi dubbi si rinforzarono. Per lui divenne chiaro che suo fratello non era annegato, e che la sua scomparsa dipendesse da altre circostanze. Nel novembre 2006, Moncayo raccolse degli indizi che gli fecero pensare che suo fratello potesse essere stato sequestrato nel cantone di Palora (Morona Santiago).
Con l’aiuto di molti dirigenti shuars, continuò le sue ricerche. A metà febbraio 2007 fu individuata una minorenne che conosceva il luogo in cui si trovava Gilberto Yankuam, con l’appoggio della polizia giudiziaria di Pastaza e Morona Santiago, e del pubblico ministero di Pastaza. Questa shuar fu obbilgata dai suoi genitori a lavorare a servizio nella casa di Jorge Tunki, una delle persone sospettate all’interno del sequestro.
La minorenne confessò che era una “testimone fedele” e che sapeva delle cose sul sequestro di Gilberto. Indicò che Jorge Tunki era la persona incaricata di sorvegliare Yankuam su ordine del comandante Stalin Naichap Tsamarenda e di Elia Antuca, consigliere municipale di Palora.
Sulla base di questa informazione, il 28 febbraio 2007, dei membri della nazione shuar si recarono nel settore di Planada (parrocchia Arapicos del canton Palora) per arrestare Tunki, che fu trasferito immediatamente nella comunità di Tsurakù situato a 51 chilometri da Puyo, sulla strada per Macas.
Tunki confessò che Tsamarenda e Antuca erano gli autori del sequestro di Gilberto. Queste dichiarazioni raccolte in un documento redatto dall’assemblea biprovinciale della nazione shuar di Pastaza e di Morona Santiago. In seguito a questa rivelazione, trecento shuars, guidato da Tunki, e sei membri della polizia, si misero alla ricerca del leader scomparso. Dopo molto giorni di ricerca, gli shuars ebbero la convinzione che l’informazione fosse falsa e la loro collera crebbe. Messo spalle al muto, Tunki alla fine confessò di aver assassinato Gilberto Yankuam per ordine di Tzamarenda il 28 gennaio (3) e di aver poi gettato il suo corpo in una laguna, dopo averlo tagliato a pezzi. Precisò che non aveva ancora confessato il crimine perché era stato minacciato a sua volta di morte se avesse rivelato il luogo esatto in cui il dirigente shuar era stato assassinato.
La testimonianza di Tunki infiammò gli spiriti delle persone riunite a Tsurakù, che decisero di giudicarlo subito. I sei poliziotti che si trovavano con gli indigeni durante tutta la giornata furono obbligati ad abbandonare la comunità. Tuttavia, convinsero gli shuars di consegnare Lucia Waam, moglie di Tunki, e i due figli minorenni per sottrarli al linciaggio.
Nella serata di venerdì 2 marzo, dopo molte ore di discussione, i dirigenti della comunità shuar condannarono a morte Tunki, in accordo con le loro antiche leggi che dicono che “chi uccide con il coltello muore con il coltello”. Dopo aver preso questa decisione, Tunki fu condotto nella parte retrostante il luogo del “giudizio” e fu giustiziato. Inseguito il suo cadavere su cosparso di un’essenza e fu bruciato.
Il 5 marzo, gli shuars si riunirono nuovamente per chiedere giustizia e l’arresto di Tsamarenda (uno dei presunti autori del sequestro di Yankuam) indicando che si trovavano in quello stato di “urgenza comunitaria” per il tempo necessario.
Il 6 marzo, davanti alla richiesta delle autorità, gli shuars accettarono di restituire i resti di Tunki: L’intendente Tarquinio Altamirano, si riunì con cinquecento persone, venti dei quali con il volto coperto da passamontagna e fazzoletti, chiedendo l’arresto di Tsamarenda, che accusavano di diversi delitti.
Una delle condizioni poste dagli indigeni per restituire i resti della vittima del loro giudizio fu che l’intendente e i poliziotti si impegnassero a catturare Tsamarenda nei seguenti cinque giorni, per poi consegnarlo alle autorità giudiziarie. Avvertirono anche che restavano sul “piede di guerra” fino all’arresto.
Secondo un documento dell’Assemblea biprovinciale della Nazione Shuar, il loro dirigente Gilberto Yankuan è stato eliminato perché, in seguito a un viaggio effettuato negli Stati Uniti, avrebbe scoperto un traffico di teste rimpicciolite (tzantzas). Teste provenienti da cadaveri dissotterrati o da persone assassinate. Un indigeno arrestato mentre trasportava delle teste rimpicciolite destinate a musei nord americani, avrebbe dato il nome di Tsamarenda come mandante. Per evitare di divulgare il suo traffico lucrativo, illecito e criminale, quest’ultimo avrebbe ordinato il sequestro del vice presidente della Confederazione.
Il 28 febbraio 2007, spostandosi da Puyo per condurre questa inchiesta, la polizia di Quito ha continuato le sue ricerche relative alle parti mancanti dei corpi di Emiliano Eva e di Denis Tronchin. È in queste circostanze che sono state rinvenute nei pressi di Pastaza, assieme ad altri tredici cadaveri...
6. Che cosa pensare?
La storia qui raccontata occupa i miei pensieri da qualche mese. È stato grazie al resoconto di una giornalista d’inchiesta, che conduceva un’indagine sulla pericolosità dell’ayahuasca e del “turismo sciamanico”, che sono venuto a conoscenza della morte di due giovani italiani in Amazzonia equatoriale, in seguito a un’overdose durante un rituale organizzato dagli indigeni.
Le ricerche compiute mi hanno permesso di accedere a testimonianze e a documenti in lingua spagnola e italiana la cui traduzione si è rivelata molto istruttiva (4).
Emiliano Eva e Denis Tronchin erano pieni di progetti e avevano l’avvenire davanti a loro. È emozionante vedere il bisogno di ricerca che rimane sulla Tela. I loro visi sono il ritratto della salute, della giovinezza (5). Ma non ci sono più, vittime della barbarie, della loro ingenuità e di un certo condizionamento culturale e mediatico che porta a pensare che la felicità si trovi necessariamente altrove, negli “altri mondi” rivelati da “entità invisibili” o da “spiriti guardiani della foresta”, al termine di un percorso “iniziatico” in cui si ingeriscono delle bevande dette “sacre”, in realtà dei decotti neurotossici con potenti effetti allucinogeni.
Contrariamente alle affermazioni dei promotori di queste iniziative che sostengono, tramite i loro avvocati, che non è possibile morire sotto effetto dell’ayahuasca durante una seduta condotta da sciamani, visto che per soccombere bisognerebbe assumere una quantità enorme di bevanda, il decesso dei due italiani nel pieno delle loro forze dimostra che l’esperienza può essere fatale. E , in questo caso, non è proprio possibile uscirne facilmente dicendo che non avevano rispettato le regole, accusandoli di non essersi preparati e di essersi consegnati al primo sciamano arrivato.
La morte atroce di Emiliano Eva e Denis Tronchin deve spingere alla più estrema prudenza gli sperimentatori potenziali che degli agenti reclutatori, talvolta illuminati, ma più spesso cinici e avidi, iscrivono tramite internet ai loro stages, seminari, ateliers o riunioni più o meno folkloristiche che si tengono in Europa, a Cogolin (Francia), ad esempio. I rischi maggiori per la salute fisica, psichica, intellettuale d spirituale dell’individuo sono accuratamente passati sotto silenzio o minimizzati al massimo da apprendisti stregoni e dai dottor Mabuse di moda, che gestiscono perfettamente le tecniche del discorso e della manipolazione psicologica per avere risposte su tutto, eludere le questioni imbarazzanti e applicarsi a squalificare le associazioni o istituzioni che denunciano le derive terapeutiche e derive settarie che contaminano il campo sanitario e sociale.
(3). Diversi articoli di stampa, in italiano e spagnolo di cui:
(4). Ringraziamenti a Isabelle Rituit, professore, per la traduzione degli articoli in italiano.
Articolo inedito di Guy Rouquet, presidente di Psychothérapie Vigilance, messo in rete l’11 maggio 2009. Il testo, che potrà essere oggetto di precisazioni complementari, si affianca a quelli che compaiono nella rubrica “droghe” e in quella “sciamanesimo e neosciamanesimo” del sito di Psychothérapie Vigilance:
http://PsyVig.comData dell’ultima messa a punto del testo: 12 maggio 2009, ore 8.55.
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